martedì 4 agosto 2009

La ZIa (seconda parte)

Al risveglio Alex si era ritrovato disteso sul letto di casa sua, con le mani ed i piedi legati ed un grosso pezzo di nastro adesivo che gli chiudeva la bocca.
Dopo qualche momento di riflessione, gli tornarono in mente gli ultimi istanti in cui era ancora sveglio: sua zia Angelica lo aveva costretto a rientrare in casa, malgrado il suo rifiuto. Lo aveva trascinato con la forza e si era permessa addirittura di tappargli la bocca con la mano. Per non farlo respirare gli aveva chiuso le narici con le dita dell'altra mano ed aveva atteso il suo svenimento.
Era stata lei dunque, a portarlo fin la, legarlo ed imbavagliarlo. Una mossa davvero crudele da parte sua. Una cosa era più che certa: il ragazzino avrebbe informato immediatamente i genitori al momento del loro arrivo. Sua zia non poteva di sicuro passarla liscia dopo un comportamento del genere.
Con il cuore ancora pulsante dalla paura, la sua mente continuava a vedere le mani di Angelica, che gli tappavano bocca e naso. Non riusciva a respirare, temeva di morire soffocato. Sua zia premeva con molta forza contro il suo volto e dall'espressione del viso sembrava volesse veramente ucciderlo. Fortunatamente non andò così, ma in ogni caso quella stronza meritava una lezione coi fiocchi. Un attimo di distrazione da parte sua e lo avrebbe ucciso sul serio.
Alex si divincolò, nel tentativo di liberarsi, ma fu tutto inutile. Le corde erano state legate molto strette ed il nastro adesivo non gli permetteva di emanare una sola sillaba. Con molta probabilità anche la porta della camera era stata chiusa a chiave. Per lui purtroppo era rimasta una sola via d'uscita: attendere l'arrivo di qualcuno che potesse liberarlo. Ma chi?

Il ragazzino udì il rombare di una moto. Pochi secondi dopo il campanello squillò.
La zia Angelica nel frattempo, aveva da poco terminato una doccia calda ed andò ad aprire.
All'ingresso l'attendeva Gianluca, il suo fidanzato. Era un ragazzo poco più vecchio di lei, di media statura ed un fisico piuttosto atletico. Indossava un completo di pelle da motociclista e dei grossi guanti, sempre di pelle nera, foderati in cashmere.
«Ciao Gianluca!» Disse lei. «Sei arrivato in anticipo. Entra pure.»
Il ragazzo le rispose con un semplice sorriso e con un bacio sulla guancia. Dopodiché chiuse la porta e si fece accompagnare da Angelica nel soggiorno. Si tolse gli abiti pesanti e gli appese nell'attaccapanni, eccetto i guanti di pelle. Poi si sedette nella poltrona e chiese alla sua fidanzata: «Allora, ti sei occupata del ragazzino?»
Angelica lanciò un'espressione seducente e strizzò l'occhio. Si era preparata per un appuntamento in grande stile. Una canottiera viola con scollatura, che metteva in evidenza parte del suo intimo e delle sue forme. Una minigonna che le copriva a malapena le parti basse, degli stivali neri di pelle ed un paio di collant scuri.
«Certamente.» Rispose la ragazza con disinvoltura. «E' stata la cosa più facile.»
Con una mano sollevò l'elastico della gonna ed infilò l'altra in mezzo alle sue gambe. Tirò fuori un paio di finissimi, corti e sfoderati guanti di pelle nera. Mentre se li infilava delicatamente, si sedette sopra le gambe di Gianluca e continuò la frase precedentemente interrotta: «Lo sai anche tu che con le mie mani non si può scherzare. Mio nipote era irrequieto e mi ha costretto ad agire di conseguenza. Avresti dovuto vedere la faccia che ha fatto prima di svenire. Aveva gli occhi sbarrati. Lui tentava in tutti i modi di trovare qualche residuo d'aria, ma io premevo e stringevo con tutta la mia forza. Ci ha messo circa due minuti prima di perdere conoscenza!»
Dopo una risata, il suo ragazzo replicò: «Mamma mia, sei davvero pericolosa tu...»
Angelica lo interruppe, schiaffeggiandogli il palmo della mano guantata sulla bocca e chiudendogli le narici con l'altra.
«Io ti ho avvertito.» Disse lei. «Per punizione ti faccio trattenere il respiro per trenta secondi.»
Gianluca rimase immobile, in profondo stato di eccitazione, mentre la sua ragazza gli teneva bocca e naso tappati. Un forte senso di superbia prevaleva in lei. Si sentiva un'ottima padrona, che non lasciava alcuna via di scampo al suo povero schiavo. Lo osservava con aria severa e sorridente allo stesso tempo. Provava orgoglio nel percepire le sofferenze di Gianluca, causate dalla mancanza d'aria provocata dalla pressione delle sue mani guantate sulla bocca e sul naso di lui.
I trenta secondi trascorsero piuttosto in fretta. Come d'accordo, Angelica tolse le mani e Gianluca tornò a respirare regolarmente.
«Dio mio, la tua bravura nel soffocare la gente mi fa ribollire il sangue!» Esclamò con stupore il ragazzo. «Dovrei disobbedirti più spesso, per far sì che tu mi chiuda la bocca ed il naso con le tue stupende mani, avvolte da altrettanto stupendi guanti di pelle nera, finissimi aderenti e sfoderati.»
Angelica gli chiese: «Ti va se ti masturbo un po' con i miei guanti? Ti faccio godere con entrambe le mani. Con una te lo stringo per bene, mentre con l'altra ti tappo la bocca, così sarai costretto ad annusare la fragranza della pelle!»
«Magnifica idea!» Rispose Gianluca. «Prima però vorrei proporti io un bel gioco.»
«Di che si tratta?» Domandò la ragazza con immensa curiosità.
Il fidanzato la osservò con uno strano sorriso e non rispose. Pochi istanti dopo, con un'improvvisata, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un batuffolo imbevuto di cloroformio e lo posò sulla faccia di Angelica.
«Mmmmmmh, mmmmmmh!» La ragazza rimase del tutto colta alla sprovvista e lo afferrò per le braccia, nel tentativo di liberarsi dalla grossa mano guantata che le faceva odorare la sgradevole e soporifera sostanza chimica.
«Stai calma Angelica.» Mormorò Gianluca sibilando. «Tra non molto il gioco sarà terminato. Mi dispiace non avertelo detto prima, ma è indispensabile che tu dorma. Avrei potuto soffocarti benissimo con questi guanti di pelle, ma ucciderti non mi sembrava il caso.»
La stretta di Angelica pian piano si indebolì, fino a lasciarla completamente. I suoi occhi si chiusero lentamente. Il cloroformio aveva compiuto il suo effetto.
Gianluca tolse con calma il batuffolo e la mano guantata dal viso della fidanzata. La distese dolcemente sul tappeto e le accarezzò il volto.


Continua....

sabato 11 luglio 2009

La Zia (prima parte)

In un soleggiato pomeriggio di primavera, il giovincello Alex, di appena dieci anni, si stava divertendo fuori nel cortile. I suoi erano partiti per le vacanze di Pasqua e non sarebbero tornati di lì ad una settimana. Naturalmente non si fidavano lasciarlo solo in casa per un intera settimana, perciò chiamarono sua zia Angelica a fargli da baby-sitter, la sorella minore della madre. Era una ragazza di vent'anni, molto attraente, con i capelli biondi raccolti sempre in una lunga coda di cavallo, gli occhi verdi ed un fisico quasi perfetto. Era anche abbastanza alta, all'incirca sul metro e settantacinque.
Alex stava seduto sull'altalena costruita dal padre qualche mese prima e continuava a spingersi, dondolando sempre più velocemente. Ad un tratto Angelica uscì di casa e si diresse verso l'altalena dove giocava l'irrequieto nipote. Guardando il piccolo diavoletto che si entusiasmava ad ogni slancio, sorrise e gli disse: «Credo che per oggi sia sufficiente, è ora di entrare in casa e di concedersi una doccia calda.»
Il ragazzino non le diede retta e continuò a dondolare sull'altalena.
«Ehi signorino» continuò Angelica irrigidendo il tono di voce, «mi ascolti quando parlo?»
Alex rimase impassivo per qualche secondo, come se nessuno lo avesse richiamato, poi si voltò verso la zia e rispose: «Ah sei tu. Scusami non ti avevo visto. Che vuoi da me?»
La ventenne iniziò ad adirarsi e replicò: «Non fingere di non vedermi quando ti chiamo per entrare in casa. Non è la prima volta che ti comporti così. Questi atteggiamenti li usi anche con i tuoi genitori?»
«Ma dai zia, lasciami giocare in pace» ribattè il ragazzino, quando mi stancherò scendero io stesso dall'altalena ed all'ora di cena mi laverò le mani e mi siederò a tavola. Che cucini di buono stasera?»
La ragazza, sempre più in preda alla collera, gli gridò contro: «Ti ho detto di scendere di lì adesso, sei pregato di non discutere!»
«Se no che mi fai?» Mormorò Alex con aria di sfida.
«Vuoi proprio saperlo?» Sbraitò la zia. «Ti chiudo quella boccaccia se non la smetti!»
Il ragazzino scoppiò in una fragorosa risata e continuo ad agitarsi sull'altalena come se niente fosse. All'improvviso Angelica protese il braccio in avanti ed afferrò la catena che reggeva il seggiolino dove Alex stava seduto, fermandolo una volta per tutte. In un lampo il fanciullo saltò giù, atterrando sull'erba morbida del prato e tentò di fuggire, ma la zia ancora più rapida di lui, riuscì ad immobilizzarlo. «Bene» sospirò quest'ultima, «Ora che sei sceso ti sistemerò io.»
Terminata la frase, la ragazza tappò la bocca al ragazzino con una mano, mentre con l'altra lo teneva fermo.
«Mmmmmmmh, mmmmmmmh» Alex cercava in tutti i modi di gridare, nella speranza che qualcuno del vicinato lo udisse, ma non era in grado. La mano della zia era piuttosto lunga e premeva contro la sua bocca abbastanza forte da lasciargli soltanto la possibilità di respirare. Odorava di un intenso aroma di profumo di marca, ne spruzzava quasi sempre una goccia sui polsi.
Poco dopo, Angelica tolse la mano dalla bocca del nipote, il quale finalmente potè tornare a parlare. La prima frase che mormorò fu: «Stronza, perché mi hai tappato la bocca in quel modo?»
«Cos'hai detto?» Gridò la zia, sbattendogli di nuovo la mano sulla bocca. In quell'occasione non si limitò soltanto a zittirlo, ma volle fargli capire ciò di cui lei era capace. Con l'altra mano abbandonò la presa sulle spalle e con il pollice e l'indice di essa gli chiuse le narici. «Non ti permettere mai più di rivolgerti a me usando certi termini volgari! Prova a farlo di nuovo e giuro che ti soffoco, hai capito?»
Trascorsero alcuni secondi, poi il ragazzino poté respirare nuovamente. Angelica però, continuava a tenergli la bocca tappata con la mano. Lui annusava il delizioso odore che rilasciava il profumo da donna. Si divincolava, nel tentativo di scappare, ma sua zia era molto più forte di lui e lo teneva stretto a se. Quest'ultima decise di trascinarlo in casa, evitando allo stesso tempo che qualcuno fosse attratto dalle sue grida.
«Mmmmmmmh, mmmmmmmh, mmmmmmmh, mmmmmmmmh.» Alex afferrò le braccia di lei, nel tentativo di liberarsi. Mentre la zia lo trascinava con la forza, cercava di creare un attrito con le scarpe, facendole stridere sul cortile ghiaioso. Dopo circa un minuto di fatica, la ragazza riuscì ad aprire la porta d'ingresso e spingere il nipote dentro la casa. Una volta entrati, gli lasciò libera la bocca, tenendolo però sempre fermo con le mani sulle spalle.
«Tu non sei una zia come tutte le altre!» Borbottò il ragazzino in preda all'agitazione. «Sei soltanto una stronza! Quando mia madre tornerà le dirò tutto quanto e vedrai cosa...»
Angelica non gli diede il tempo di completare la frase, che con una rapida mossa lo spinse contro il divano, gettandolo supino sopra di esso. Altrettanto velocemente si fiondò contro di lui, coricandosi bocconi e impedendogli ogni via di fuga. La ragazza lo stava quasi schiacciando con il suo peso.
«Che stai facendo? Lasciami andare!» Continuava ad urlare Alex. «Tu sei pazza, tu sei stronz...mmmmmmmh, mmmmmmmmh, mmmmmmmmmh!»
Angelica sbatté ancora una volta il palmo della mano contro la bocca del nipote e con l'altra mano gli tappò il naso esclamando con orgoglio: «Io ti avevo avvertito. Se avresti ripetuto di nuovo quel termine io ti avrei soffocato e come vedi, mantengo sempre le promesse!»
Il fanciullo, sotto di lei, la osservava alquanto intimorito e con gli occhi sbarrati. Era alla ricerca di un po' di fiato ed era incapace di compiere ogni movimento. A tratti si udiva qualche leggero spiffero d'aria fuoriuscirgli dalla bocca, ma non era sufficiente per far sì che lui potesse respirare.
La ragazza lo squadrava con un ghigno malefico. Le due facce erano distavano solamente di qualche centimetro e lei godeva nel vedere il nipote che soffriva mentre lei gli otturava le vie aeree.
«Per te è arrivata l'ora di andare a letto piccolo Alex.» Mormorò.
Trascorsero un paio di minuti e pian piano il ragazzino cessò ogni forma di resistenza. Gli occhi si chiusero lentamente, fino al momento in cui perse conoscenza.
Angelica levò entrambe le mani dalla bocca e dal naso del piccolo. Non era sua intenzione ucciderlo e perciò gli permise di respirare.
«Bene bene» esclamo soddisfatta la ragazza, osservando il fanciullo che dormiva beatamente. «Mi hai costretto a farti dormire in quel modo ed ora ti porterò sul letto, dove non procurerai più fastidi a nessuno. Stasera deve venire qui il mio fidanzato, perciò non tollero alcun tipo di seccatura!»
Detto questo, afferrò Alex e se lo posò sopra la spalla. Camminò con lui tra le braccia fino al piano di sopra, dove c'era la sua camera da letto......

CONTINUA

Oscuri Segreti

Molta gente comune nasconde il proprio scheletro nell’armadio. Il marito, dall’atteggiamento fedele nei confronti della propria moglie, si ritrova ogni week-end a frequentare con gli amici il Night Club di turno. La giovane ragazza che segue per filo e segno ogni regola della Chiesa, esce con i coetanei più esuberanti della città, concedendosi al primo appuntamento. Gruppetti di coppie, si divertono con lo scambio reciproco dei propri partner.
Tali comportamenti, possono suscitare scandalo e scalpore, specialmente se interessano soggetti che godono di un’ottima reputazione. Cosa potrebbe accadere, se l’individuo in questione, maschio o femmina, si spingesse oltre le barriere della trasgressione più profonda, coinvolgendo altre persone, finora mantenute all’insaputa di tutto e non consenzienti al momento della rivelazione?

Alle cinque del pomeriggio in punto, Irene stava tornando a casa, dopo un’intensa giornata di studio universitario, presso la facoltà di medicina. Il buio era già alle porte ed il freddo pungente la infastidiva, nonostante indossasse un cappotto invernale, un berretto, una sciarpa ed un paio di guanti di pelle nera. Decise di accelerare il passo, nel tentativo di arrivare al caldo domicilio il prima possibile. Giovanna, la sua compagna di studi e coinquilina, quel giorno non si sentiva bene, perciò era rimasta a casa. Entrambe le ragazze avevano 22 anni.
Inserì la chiave nella serratura ed aprì il portone d’ingresso. Una volta entrata, appoggiò lo zaino sopra il tavolo e si levò gli abiti pesanti. Quel giorno era molto felice, l’esame era stato superato con il massimo giudizio, lode compresa. Chiamò entusiasta Giovanna, non vedendo l’ora di riferirle la lieta notizia:
“Giovanna!” “Ehi Giovanna dove sei?” “Non ti interessa sapere come mi è andata oggi?”
Nessuna risposta. La coinquilina, molto probabilmente era uscita per fare shopping o qualcos’altro, tra non molto sarebbe tornata anche lei. Ne ebbe la conferma quando controllò l’attaccapanni. Il lungo cappotto di pelle dell’amica non era lì appeso.
Si diresse in bagno, per sciacquarsi mani e viso. La vasca da bagno era stata usata di recente, le gocce d’acqua riempivano tutta la superficie in marmo. Lo specchio sopra il lavabo non si era ancora disappannato, perciò prese l’asciugamano per rendere le immagini riflesse ben visibili.
Fatto questo, aprì il rubinetto, dosando l’acqua calda e si passò tra le mani il bagno schiuma.
Tornò in soggiorno, per rimettere in ordine gli abiti e lo zaino, lasciati precedentemente sopra il tavolo. Nel momento in cui prese in mano il cappotto, si accorse di uno strano particolare: il suo paio di guanti non era lì, dove lo aveva appoggiato. I guanti, di finissima pelle pregiata, lunghi qualche centimetro oltre il polso, erano abbastanza grandi, di taglia L. Le sue mani infatti, confrontate con la sua media statura di 1,75 metri, erano parecchio lunghe.
“Strano che non ci siano i miei guanti”. Pensò fra se. “Ero convinta di averli lasciati qui, con il resto della roba”. “Che sbadata, devo averli messi da qualche altra parte, ora controllo”.
Iniziò a rovistare nel guardaroba, nel caso gli avesse accidentalmente già ordinati con il resto dei vestiti. Niente da fare, non si trovavano in quel posto. Tornò nuovamente in bagno e controllò per terra vicino al lavandino. Rialzò la testa, si guardò allo specchio e vide l’immagine della coinquilina riflessa dietro di sé.
“Giovanna, sei tornata a casa. Dove sei stata finora?” Non ebbe il tempo di voltarsi, per guardarla negli occhi, quando la compagna la afferrò alle spalle e con la mano destra le tappò la bocca. Irene continuava a guardare lo specchio, non avendo altra scelta e vide che i suoi guanti, erano infilati nelle mani di Giovanna. Non potendo parlare, annusava la fragranza della vera pelle di qualità.
“Stai ferma Irene”. “Come vedi, i tuoi guanti gli indosso io”. “Abbiamo entrambe le mani della stessa misura, mi calzano a pennello”.
Irene cercò a tutti i costi di chiederle il motivo del suo comportamento insolito, ma dalla bocca uscirono solamente dei miseri “Mmmmh, mmmmmh, mmmmmh”.
“Ascoltami attentamente”. Riprese a discorrere Giovanna. “Se non ti agiti e rimani calma, io ti spiegherò alcune cose che non ho mai avuto il coraggio di rivelarti. Mi dispiace dovertele dire in queste circostanze, con indosso i tuoi guanti e con la mano che ti chiude la bocca, ma non ho altra scelta purtroppo”. “Rimani tranquilla e ti prometto che, una volta terminato il discorso, toglierò la mia mano guantata e ti lascerò esprimere tutte le opinioni che vuoi. D’accordo”?
Irene annuì con il capo e smise di divincolarsi. Si guardava allo specchio. Non poteva fare a meno di vedere il suo soffice guanto luccicante il riflesso della luce, che le copriva la bocca e le permetteva a malapena di respirare. Giovanna era alta qualche centimetro più di lei ed era anche più forte fisicamente, quindi poteva benissimo controllarla a proprio piacimento. La mano guantata copriva interamente la sua bocca, con una stretta che rendeva impossibile ogni genere di urlo. L’indice era posizionato sotto le narici e in parte riusciva a chiuderle. Il respiro di Irene perciò, non era regolare, bensì si faceva sempre più affannato. Doveva mantenere la calma assoluta ed attendere impaziente il momento in cui Giovanna la liberasse, altrimenti l’avrebbe soffocata.
“Devi sapere mia cara, che gli uomini non mi hanno mai attratta. Ho sempre avuto un debole per le donne, della mia età e più giovani di me. Ti ricordi quella sera, al ristorante, durante la cena studentesca? Eri seduta di fianco a me. Forse eri ubriaca, per non essertene accorta, perché nel corso della serata, ti ho accarezzato più volte, nel tentativo di attirare la tua attenzione. Già in quell’occasione, volevo confidarti i miei segreti, ma tu non hai battuto ciglio. Sono arrivata alla drastica conclusione, di rapirti e svelarti il mistero, cioè quello che sto facendo adesso. Sì Irene. La tua compagna Giovanna è lesbica. Sono lesbica e ti amo da morire, non so come potrei vivere senza di te. Mi piacevi fin da quando frequentavamo assieme il Liceo. Ti avevo delicatamente sedotta, trasformata in grande amica, fino a convincerti a condividere l’appartamento per gli studi”!
Irene rimase immobile. I suoi occhi sbarrati, dimostravano chiaramente un profondo senso di spavento, dovuto alla scioccante rivelazione dell’amica. Ricominciò a dimenarsi, ma la supremazia di Giovanna non le permetteva la fuga. Dopo qualche minuto di silenzio, riprese con i versi soffocati: “Mmmmmmh, mmmmmmh, mmmmmmh, mmmmmmmh”!
“Stai zitta, ti prego. Non devi aver paura”. “Devo farti vedere un’ultima cosa. Vieni con me, ti porto in camera mia”.
Giovanna trascinò di peso la coinquilina, verso la propria stanza da letto. Irene tentava in tutti i modi di liberarsi, inutilmente. Era a corto d’aria, la mano guantata le toglieva gran parte del fiato.
Arrivate vicino al cassetto del comò, si arrestarono.
“Bene, ora io aprirò il cassetto. Per farlo dovrò liberarti. Siediti sul letto e non provare a gridare, altrimenti mi arrabbio”. Irene annuì di nuovo con la testa, sollevata dal poter riprendere a respirare normalmente. La compagna le tolse le mani di dosso e lei si sedette tranquilla sopra il letto. Tirò due respiri profondi, ma subito dopo iniziò ad urlare terrorizzata: “Sei pazza, cosa vuoi da me”?
Giovanna, che in quell’istante stava aprendo il cassetto, si voltò di scatto e con un balzo fulmineo, si avventò contro Irene, tappandole nuovamente la bocca con la mano destra. Con l’altra, l’afferrò alla nuca, alzandole la testa e costringendola a guardare verso l’alto.
“Ti ho detto che devi rimanere calma. Vedi di stare zitta, altrimenti mi costringi a soffocarti e non credo che questo a te faccia molto piacere”!
Con un “Mmmmmmh” appena udibile, Irene placò i suoi spiriti bollenti. Le lacrime iniziarono a rigarle il volto.
Tolta la mano, Irene si rialzò per osservare il contenuto del cassetto. All’interno c’erano diverse paia di guanti di pelle, ognuno differente dall’altro, un flacone di cloroformio, probabilmente sottratto ai laboratori dell’università, uno straccio bianco, delle manette, un rotolo di nastro adesivo ed altri oggetti utili per la pratica del “Bondage”.
Stranamente, Irene riuscì a mantenere l’autocontrollo, sufficiente per chiedere all’amica: “Che significa tutto questo? Perché ti diverti con questo genere di giochi erotici, io potrei trovare disgustosa una trovata simile”.
Giovanna rispose immediatamente: “Come avrai intuito, oltre ad essere lesbica, sono attratta da una particolare categoria di feticismo. Nel periodo della mia infanzia, una babysitter badava a me ogni giorno. Lei era giovane, aveva superato da poco la maggiore età. Per mia sfortuna, costei era un’autentica pazza, più che badare a me, si divertiva a schiavizzarmi con continui giochi appartenenti al mondo del fetish. Quando dicevo una parola di troppo, mi chiudeva la bocca con le mani, a volte si metteva i guanti di pelle nera, apposta per rendere la pratica più eccitante. Mi teneva ferma, senza lasciarmi parlare anche per ore, fino al momento in cui rincasava mia madre. Al suo ritorno, ero felicissima di rivederla”.
“Non hai mai pensato di parlarne con tua madre di questi inconvenienti”? La interruppe Irene.
“Sì, ma quella strega mi minacciava pesantemente. Diceva che se avrei erroneamente spifferato qualcosa a mia madre, mi avrebbe tappato bocca e naso fino a farmi morire e a dir la verità, una volta, senza rendersene conto, lo stava quasi per fare. Mi aveva rincorso per tutta la casa, fino a quando mi stancai e mi lasciai catturare. Indossava un paio di guanti di pelle invernali, di grossa taglia e ben imbottiti internamente. Per questo, oltre a coprirmi normalmente la bocca, involontariamente mi aveva chiuso anche il naso. La mia faccia tra l’altro, all’epoca era molto piccola, figuriamoci con che facilità riuscì ad agire. Mi tenne senza respiro per circa un minuto, quando si accorse che stavo per svenire. Tolse immediatamente la mano e mi distese sul letto, per farmi riprendere fiato. Un giorno addirittura, doveva uscire di casa per motivi a me sconosciuti. Per evitare che combinassi delle marachelle, prese una garza imbevuta di cloroformio, trovato chissà dove e me la premette con forza sul viso. L’ho ancora ben impresso nella mente quell’episodio. Mi afferrò alle spalle, portava dei guanti in lattice bianchi. Sentivo il forte odore del composto che mi pungeva le vie respiratorie. Tutto questo per qualche secondo, fino a quando mi addormentai. Al risveglio, mi ritrovai legata e imbavagliata sul letto matrimoniale dei miei. Quelle vicende, successivamente lasciarono un segno indelebile nel mio inconscio. A partire dall’adolescenza, sognavo infinitamente di poter catturare qualche ragazza e sottoporla a questi estenuanti rituali”.
Terminata l’ultima frase, si levò i guanti e gli infilò nel cassetto, insieme al resto degli accessori.
Irene riprese: “Insomma, tu vorresti che io sia disponibile a farti da schiava per questi giochi assurdi. Sai benissimo che io non sono lesbica come te, sono fidanzata con uno splendido ragazzo, più vecchio di me di due anni, intelligente, carino e molto comprensivo. Mi dispiace, non posso sottostare alle tue regole”.
“Sono sicura che ti piacerà tantissimo”. Rispose Giovanna con un seducente sorriso. “Rilassati, lascia che le emozioni negative abbandonino il tuo corpo e divertiti con me”!
Si girò verso il comò, per tirar fuori un altro paio di guanti di pelle nera. Erano da guida, sottili, corti e ben aderenti. Mentre se lì stava infilando, Irene approfittò della distrazione, per alzarsi dal letto e fuggire. Intenzionata fermamente a lasciare la casa, si precipitò verso l’uscio d’ingresso. Tentò di aprirlo, ma la coinquilina aveva previsto una mossa simile e lo aveva chiuso a chiave.
“Aiuto”! Gridò disperatamente la ragazza. “Qualcuno mi aiuti, c’è una pazza che vuole farmi del male, chiamate la polizi… mmmmmmmh, mmmmmh, mmmmmmmmh”!
Si ritrovò Giovanna alle spalle, che le tappava la bocca con lo straccio imbevuto di cloroformio.
“Respira profondamente. Tra poco potrai riposare in tutta tranquillità”.
Poco dopo, Irene smise di opporre resistenza e svenne, sotto le braccia della sua psicopatica compagna di studi.

Era distesa sul letto, completamente nuda, legata mani e piedi e con un pezzo di nastro adesivo che le chiudeva la bocca, quando riprese conoscenza. L’amica la stava osservando con un sorriso maligno, soddisfatta di aver raggiunto una tale meta. Si era tolta il cappotto di pelle, in quel momento portava solamente un bikini nero, delle calze a rete ed il solito paio di guanti da guida.
Si avvicino a lei, sollevò il piede coperto dalla calza e glielo appoggiò sotto il naso, tappandole la bocca. Era alquanto sudato, dopo aver indossato gli stivali per molte ore e puzzava terribilmente.
“Annusa bene il profumo dei miei piedi. Sai, è da più di una settimana che non li lavo, mi sono preparata anche per questo. Aspirerai completamente la loro fragranza, che tu lo voglia o no. Deciderò io quando toglierlo dalla tua boccuccia”.
In quell’istante suonò il campanello. Giovanna lasciò sola la compagna per un attimo ed andò ad aprire. Varcò la porta una signora, di circa quarant’anni, che insieme a Giovanna, si presentò in camera qualche secondo dopo. Vestita interamente di pelle nera, escluse le calze, dava chiaramente l’idea di una perfida compagna di giochi. I guanti erano di grossa taglia ed imbottiti all’interno per proteggere le mani dal freddo.
“Irene, ti presento Cinzia, la mia ex-babysitter e mistress feticista. Con lei come insegnante, ho appreso molti segreti della sublime arte dell’handsmother domination, compreso l’uso dei guanti di ogni tipo. Come ben sai, hanno un valore simbolico nell’eros, specialmente quelli di pelle. Indossati da una donna, ne fanno una vera e propria dominatrice della situazione”.
“Allora, che ne facciamo di questa”? Chiese Cinzia.
“Visto che la mia cara amica non condivide le nostre passioni” rispose Giovanna, “puoi pure ucciderla. Tappale bocca e naso con le mani e attendi che il suo cuore smetta di battere”!

Cinzia si preparò in posizione. Le due grosse mani guantate, di lì a poco avrebbero ostruito le vie respiratorie della povera vittima. L’ordine di Giovanna era chiaro: uccidere Irene. Toglierle la vita, non si era concessa ai voleri della sua padrona, dopo che quest’ultima le aveva rivelato le passioni più nascoste del proprio inconscio. Sperava che, almeno la sua migliore amica, potesse condividere i giochi erotici e feticisti appresi da quella che, un tempo era una babysitter e poi diventò la mistress personale di Giovanna.
Irene, con la bocca completamente tappata dal nastro adesivo, tentava disperatamente di chiedere aiuto, ma le fuoriuscivano solamente dei modesti “mmmmh”. Era rimasta terrorizzata ancor di più, una volta saputa la notizia del suo prossimo assassinio.
“Vuoi che le metta anche un sacchetto di nylon in testa”? Chiese Cinzia.
“No, assolutamente. Devi soffocarla usando solo i guanti. Già che ci sei, toglile anche il pezzo di nastro adesivo, non le serve più. Voglio che passi i suoi ultimi minuti sotto la tortura dei guanti di pelle. Gli stessi che hai adoperato quella volta con me. Ti ricordi”?
“Già, ricordo benissimo, come se fosse accaduto ieri. Eri irrequieta, scappavi dappertutto ed urlavi. Ti presi alle spalle e ti tappai la bocca La mia mano guantata risultava essere troppo grande per la tua faccia, all’epoca avevi poco più di cinque anni e sbadatamente ti chiusi il naso. A momenti ci restavi”!
“Sì, fu un’esperienza indimenticabile. Da quel giorno giurasti che, quei guanti gli avresti utilizzati per uccidere qualcuno”.
“Hai perfettamente ragione. Gli avevo comprati circa vent’anni fa e da allora sono sempre rimasti allo stesso stato, soffici, profumati ed intatti. Se gli tiravo fuori dal guardaroba, lo facevo solamente per portare a termine tali scopi. Finora con questi, ho soffocato quattro giovani ragazze. Irene sarà la quinta”.
“Bene Cinzia, ora puoi procedere”.
Cinzia levò rapidamente il pezzo di scotch dalla bocca di Irene e con altrettanta velocità, gliela richiuse con la mano destra, premendo con forza. Il guanto di pelle nera, copriva completamente la bocca e parzialmente il naso, quindi Irene riusciva appena a respirare. Subito dopo, con l’indice e il pollice dell’altra mano, le serrò le narici. La ragazza, presa dal panico, cercò inutilmente di liberarsi dalle manette che la legavano. Totalmente priva di aria per respirare, emanava dei miseri suoni con la bocca, decifrabili come “Mmmmmgh, mmmmmmgh, mmmmmgh”, ancora meno udibili dei precedenti. Una tragica fine attendeva la povera studentessa. Dove avrebbe trovato la salvezza?
“Continua così”! Esclamò Giovanna. “Non togliere le mani per nessuna ragione al mondo. Fra qualche minuto, per lei sarà tutto finito”!
All’improvviso, suonò il campanello. Il “drin” fu accompagnato dai richiami di un ragazzo, che gridò: “Irene, Irene sei in casa”?
“Oh no”! Disse Giovanna. “Questo è Massimo, il fidanzato di Irene”.
Cinzia, che nel frattempo teneva le mani guantate sulla bocca e sul naso della ragazza da più di un minuto, chiese: “Devo continuare qui? La uccido lo stesso”?
“No, non ora”. Rispose Giovanna. “Prendi questo ed addormentala”. La studentessa le lanciò il batuffolo intriso di cloroformio. La mistress tolse momentaneamente il pollice e l’indice della mano sinistra dal naso della vittima, permettendole di riprendere fiato. Continuava però, a tapparle la bocca con la mano destra. Se Massimo avrebbe sentito le sue urla di aiuto, di sicuro avrebbe contattato la polizia.
“Io mi vesto e vado ad aprire la porta. Tu rimani qui ed evita di far rumore. Chiuditi qui dentro a chiave, per evitare che il ragazzo entri e scopra quello che stiamo per fare”.
“Va bene”. Disse Cinzia, prendendo lo straccio e appoggiandolo sulla bocca di Irene.
Pochi attimi dopo, Giovanna si presentò davanti l’uscio di casa e lo aprì. Massimo, nel frattempo, si era stancato di chiamare la fidanzata.
“Dov’è andata Irene”? Chiese il ragazzo.
“Oggi non è in casa e non ho idea di quando tornerà”. Rispose la coinquilina.
“Com’è possibile che non sia qui? Mi ha telefonato circa un’ora fa e mi ha detto che sarebbe tornata di lì a poco. Era al settimo cielo, per l’ottimo punteggio ottenuto all’esame e voleva che la raggiungessi, appena potevo ed ora eccomi qua”!
“Mi dispiace, ma in questo momento è uscita. Non mi ha comunicato niente al riguardo”.
“Tu non me la racconti giusta Giovanna”! Sbottò furibondo Massimo. Afferrò la studentessa per le spalle ed entrò forzatamente nell’appartamento. Chiuse violentemente il portone con un calcio e la scagliò contro il muro.
“Adesso mi dici dove hai portato la mia ragazza! Sai perfettamente dove si trova”!
“Cosa stai dicendo, sei completamente impazzito? Ti ho già detto che non so dove sia andata”!
“Invece ne sei pienamente a conoscenza. Ho sentito tutto quanto. Le hai dichiarato di essere lesbica e poi hai tentato di violentarla, non è così? Quando parlavi, Irene era rimasta in contatto con me tramite cellulare. Il resto, prova ad immaginarlo”.
Giovanna si sentì totalmente spiazzata, dopo aver ascoltato la verità dei fatti. Non avrebbe avuto la forza di reagire. Massimo era un tipo muscoloso, di conseguenza quasi impossibile da sopraffare.
Nel momento peggiore, accorse in suo aiuto Cinzia, che nel frattempo, aveva addormentato la povera ragazza legata sul letto con il cloroformio. La grande mano guantata e lo straccio, furono premuti con forza sulla bocca e sul naso di Massimo. Giovanna riuscì a liberarsi dal suo aggressore e le tenne ferme le braccia.
“Mmmmmh, mmmmh, mmmmmh”! Tutto quello che riusciva a dire il ragazzo. Nonostante la sua abile resistenza, non riuscì a tener testa alle due mistress incallite. Il cloroformio, ben presto fece effetto e Massimo perse i sensi.
Cinzia gli tenne premuto lo straccio bianco sulla bocca ancora per un po’. Un suo possibile risveglio avrebbe di certo peggiorato la situazione. Le due maniache lo afferrarono rispettivamente, una per le gambe, l’altra per le braccia e lo trascinarono fin sopra il letto, a fianco della sua fidanzata.
“Bene, abbiamo preso due piccioni con una fava”! Esclamò Giovanna.
“A quanto pare sì”. Continuò Cinzia. “Prendi la pistola con il silenziatore che ho nella borsa. Irene puoi pure slegarla, ho in mente un giochetto migliore per farla finita con loro. Ah, ah, ah, ah, ah”!

La prima a risvegliarsi, sotto l’ormai svanito effetto del cloroformio, fu Irene. Appena aprì gli occhi, si ritrovò con la pistola puntata alla tempia, maneggiata da Cinzia. Giovanna era rimasta lì a guardare, in attesa di qualche ordine da parte della padrona.
“Prova solo a fiatare e ti buco il cranio”! Disse Cinzia contro ad Irene.
“Giovanna, restituiscile pure i guanti di pelle che avevi rubato. Gli deve indossare immediatamente, altrimenti la faccio fuori senza pietà”!
Giovanna tirò fuori dal suo cassetto i beneamati accessori. Li osservò da vicino per l’ultima volta, accarezzando delicatamente la morbida pelle sottile. Poi gli consegnò ad Irene, che senza esitazione se gli infilò.
“Tu Giovanna, prendi quelli lunghi fino al gomito e mettiteli. Vai dalla tua compagna e tappale la bocca con una mano. Con l’altra, accarezzale i capelli”.
La studentessa di medicina non se lo fece ripetere due volte. Indossò i lunghi ed eleganti guanti di pelle nera e si posizionò alle spalle dell’altra ragazza. Come ordinato, con la mano destra le chiuse la bocca, lasciandola respirare tranquillamente, poi, con l’altra mano, le accarezzò i lunghi e lisci capelli castani.
Intanto, Massimo stava lentamente riprendendo conoscenza, dopo la cloroformizzata subita dalla stessa Cinzia, la quale, accortasi del suo risveglio, appoggiò la pistola sopra la sua testa.
“Bene, ora posso dire che siamo tutti al completo. Irene, è il tuo turno ora”.
La ragazza, con la bocca interamente coperta dalla mano guantata di Giovanna, la fissava spaventata e con gli occhi spalancati. Ogni tanto, emetteva dei profondi sospiri.
“Ci tieni al tuo fidanzato vero? Per questo morirà per mano tua. Ostruiscigli le vie aeree con entrambe le mani. I guanti ce lì hai già.”
“Mmmmmmmmh, mmmmmmh”. Rispose disperata Irene, agitando la testa.
“Fallo immediatamente o ci penso io ad ucciderlo”!
Alla fine, la ragazza fu costretta a cedere ai voleri della padrona. Guardò in faccia Massimo, non ancora ripreso del tutto. Le lacrime ripresero a rigarle il volto. La situazione era diventata critica.
“Allora ti decidi a soffocarlo? Ti do ancora qualche secondo di tempo, dopodiché gli sparerò”!
Irene, contro la sua volontà, appoggiò il palmo della mano guantata sulla bocca del ragazzo e con l’altra, gli chiuse il naso.
“Stringi più forte mia cara! Così il tuo caro fidanzato riesce a respirare”!
La studentessa obbedì agli ordini, malgrado ne fosse contraria e premette fortemente con entrambe le mani, la bocca e il naso del suo fidanzato. Massimo la guardava con gli occhi sbarrati, incredulo di quello che stava per combinare la sua amata ragazza.
“Perfetto. Resta ferma in quella posizione, finché il tuo amore non sarà morto. Guai a te se togli le mani, altrimenti ti uccido”!
I minuti passarono e le resistenze del ragazzo, pian piano cedettero. Irene lo osservava in lacrime, mentre le sue mani guantate tappavano completamente le sue vie respiratorie. Non le sarebbe mai passato per la testa di uccidere qualcuno, specialmente se si trattava di un suo caro.
Alla fine, gli occhi di Massimo, si chiusero definitivamente e non mostrò più alcun segno di vita.
“Non togliere le mani. Devi essere certa che sia morto. Tienilo così per un altro minuto”.
Passato il lasso di tempo, Irene finalmente scoprì il volto di Massimo. Osservava il cadavere del fidanzato, privo di vita.
“Bene, adesso ci siamo liberate del seccatore. Giovanna, tocca a te. Procedi come prestabilito”.
Il pollice e l’indice della mano guantata di Giovanna, che copriva la bocca della coinquilina, si alzarono leggermente, tappando le narici.
Irene provò ancora una volta a liberarsi, senza successo. La mano di Giovanna era grande, come del resto, condividevano lo stesso paio di guanti. Non aveva scampo. Farsi soffocare da quella che credeva, la sua migliore amica, oppure beccarsi una pallottola in testa. Era stato tutto facile. La loro mania feticista, aveva avuto la meglio, anche su individui del calibro di Massimo, che in quel momento non c’era più. I guanti di pelle, un’arma molto pericolosa, forse ancor più di una pistola.
Agivano cautamente, costringendo la vittima al silenzio e come se non bastasse, la indebolivano lentamente, togliendole completamente il respiro.
Trascorsi cinque minuti, Irene si accasciò al letto, senza vita. Lo scopo della sua aguzzina Giovanna, dunque aveva raggiunto la meta.
“Alla fine, ci siamo riuscite” Disse Giovanna soddisfatta.
“Non è ancora finita”. Replicò Cinzia, rimettendo la pistola nella borsa. “Voglio fare un altro gioco con te. Sdraiati sul letto e chiudi gli occhi. Ti farò divertire”!
“Magnifico! Mi tapperai la bocca con i tuoi splendidi guanti? Non vedo l’ora di cominciare. Tutto ciò è alquanto eccitante”!
La studentessa si rilassò e chiuse gli occhi. La padrona ne approfittò, per prendere la garza impregnata di cloroformio e appoggiarla sul suo viso.
“Mmmmmmh, mmmmmmh, mmmmmmh, mmmmmmmh”. Furono gli ultimi versi di Giovanna che, nel giro di poco tempo, piombò in uno stato di sonno profondo.
Cinzia rimosse lo straccio ed osservò la sua schiava, mentre dormiva.
“Ho omesso un particolare fondamentale, mia cara. I guanti che indosso in questo momento, non posso togliermeli dalle mani, finché non uccido qualcuno. Un patto che ho fatto con il Diavolo, tanto tempo fa. Massimo ed Irene sono già stati ammazzati, non mi resta che uccidere anche te”!
Detto questo, tappò la bocca e il naso di Giovanna, con le enormi mani guantate. Schiacciò il viso di lei con forza, per non farla respirare. La conclusione non poteva giungere che nella peggiore delle maniere. Due ragazzi erano stati soffocati e presto, anche una terza. Le mani di Cinzia continuavano a stringere duramente le vie respiratorie di Giovanna. Per lei, non c’era più niente da fare.